Gaza (Striscia di Gaza), 14 mag. (LaPresse/EFE) – Sotto il titolo ‘Vogliamo respirare’ e senza il glamour dei grandi eventi cinematografici come Cannes, il festival ‘Red Carpet’ di Gaza ha aperto quest’anno con circa una settantina di produzioni provenienti da tutto il mondo che rivendicano il diritto alla vita e alla libertà.
I 40 metri di tappeto rosso, che in questi giorni portano all’ingresso del centro culturale al-Shawa, nella città di Gaza, rappresentano molto di più della semplice passerella per star e vip. “Il nostro messaggio è raccontare al mondo che la popolazione di Gaza desidera respirare la vita vera, vuole respirare libertà e arte”, ha spiegato Jalil al-Muzayan, organizzatore del festival, giunto alla sua seconda edizione, che torna a sfidare le difficoltà politiche, religiose, sociali, economiche, e anche psicologiche della Striscia di Gaza.
Centinaia di residenti erano presenti ieri sera all’inaugurazione del festival che in arabo si intitola ‘Karama’ (dignità), avviato per la prima volta nel 2015 nel quartiere di Shayaíe, il più colpito dalla guerra tra le milizie palestinesi e Israele di un mese fa. “Alla popolazione di Gaza non piace morire, noi amiamo la vita”, ha spiegato al-Muzayan ricordando che nonostante la distruzione “Gaza è riuscita a trovare un posto tra le macerie per vedere dei film”.
“In questa edizione, obiettivo sarà mostrare il volto più bello di Gaza”, ha aggiunto l’organizzatore che è riuscito a inserire il festival nel circuito di eventi cinematografici del mondo arabo per creare consapevolezza sui diritti umani. E quale modo migliore per omaggiare la vita se non il racconto della vita del cantante popolare palestinese Muhamad Asaf, vincitore del concorso ‘Arab Idol’, in un documentario del regista israelo-palestinese Hany Abu-Assad? Le produzioni palestinesi si mescolano con quelle dei vari Paesi arabi e occidentali in una kermesse che dura fino a lunedì prossimo. Commedie, documentari, lungometraggi che hanno come comune denominatore affrontare i problemi sociali e politici.
Nella terribile realtà della Striscia, controllata da Hamas dal 2007 e da allora sotto il blocco israeliano e più recentemente egiziano, organizzare un festival non è impresa facile. Non poter spegnere la luce in sala durante le proiezioni (per evitare che accadano atti indecorosi secondo la sharia, la legge islamica) o dover controllare ogni scena per tagliare quelle più controverse dal punto di vista sociale, politico e religioso rende complicato allestire ogni appuntamento. Le autorità locali hanno inoltre proibito una delle proiezioni prevista nel porto dei pescatori perchè sono vietate le concentrazioni di persone lungo le strade.
“Abbiamo deciso di organizzare ugualmente questo festival per la gente semplice ed emarginata di Gaza che è stata dimenticata dai suoi leader”, ha precisato al-Muzayan. Che ha aggiunto: “Il nostro messaggio è molto chiaro. Gaza ha la capacità di vivere in pace, lontano dalla guerra e dalla miseria”.
Per concretizzare questo messaggio fino a lunedì saranno proiettati dodici film, 17 documentari, 30 cortometraggi e sette cartoni animati. Le proiezioni più importanti si terranno nel centro culturale al-Shawa che può ospitare fino a 1.500 persone, altre nei teatri, in scuole e centri culturali. I cinema sono scomparsi dalla Striscia dalla fine degli anni ’80 in occasione della prima Intifada contro l’occupazione israeliana. Tuttavia, negli ultimi anni, alcuni registi locali come al-Muzayan hanno cercato di attirare di nuovo il pubblico verso il grande schermo “in modo da poter fare come in Occidente: semplicemente godere della bellezza di un film”.